Nel 'Convivio' Dante racconta che, per cercare una consolazione al dolore per la morte della donna amata, egli si diede agli studi della filosofia, sull'esempio di Boezio e del suo 'De consolatione Philosophiae' e di Cicerone e del suo 'Lelio'. A questi studi si dedicò con passione tale da raggiungere in breve tempo (trenta mesi) una conoscenza profonda, ma anche da indebolirsi la vista così da dover poi rimanere per lungo tempo al buio.
Lo studio della filosofia lo accostò alle grandi correnti del pensiero del suo tempo, soprattutto ad Aristotele, sia attraverso le interpretazioni di Averroè, sia quelle di S. Tommaso d'Aquino. E Dante, simile al suo Ulisse che cercava mondi irragiungibili attraverso vie nuove e naufragava tragicamente per mancanza della Grazia, naufragò anch'egli nella ricerca spirituale, fino a ritrovarsi nella selva oscura, da cui lo trarranno l'affetto umano di Virgilio e l'amore spirituale di Beatrice, la quale lo condurrà fino a Dio.
L'ammonimento di Virgilio (Purgatorio III, 37 sgg.) esprime anche lo stato di smarrimento di chi ha cercato invano di raggiungere la conoscenza vera senza l'aiuto della Grazia.
"State contenti, umana gente, al quia;
che se possuto aveste veder tutto,
mestier non era parturir Maria;
e disiar vedeste sanza frutto
tai che sarebbe lor desio quetato,
ch'etternalmente è dato loro per lutto:
io dico d'Aristotile e di Plato
e di molt'altri"; e qui chinò la fronte,
e più non disse, e rimase turbato.