Inferno e Paradiso
Prima di Dante a parlare di Inferno e Paradiso fu Giacomino da Verona, frate francescano di cui non si conosce quasi niente; sappiamo che scrisse due opere ‘De Jerusalem celesti’ e ‘De Babilonia civitate infernali’: la prima descrive il Paradiso e la seconda l’Inferno.
Ecco una strofa dal Paradiso:
“Le aque e le fontane – ke cor per la cità
plu è belle d’argent – e ke n’è or colà;
per fermo l’abiai – quelor ke ne bevrà
ḉamai no à morir – né seo plui no avrà.
(Le acque e le fontane che corrono per la città sono più belle dell’argento e dell’oro colato. Tenetelo per certo: coloro che ne berranno non dovranno morire e non avranno più sete)
Ecco l’Inferno:
“Stagando en quel tormento – sovra ge ven un cogo
ḉoè Balḉabù – de li peḉor del logo,
ke lo mete a rostir, - com’un bel porco, al fogo,
en un gran spe’ de fer, - per farlo tosto cosro.
(Mentre il dannato sta in quel tormento, cioè nel caldo, arriva su di lui Belzebù, un cuoco tra i peggiori di quel luogo, che lo mette ad arrostire al fuoco come un bel porco, per farlo cuocere subito).